La nuova energia potrebbe arrivare dal mare: ecco tre progetti da tenere d’occhio

Potrebbe essere il mare il futuro produttore di energia pulita? Secondo almeno tre ambiziosi progetti, : i moti ondosi potrebbero infatti rivelarsi preziosi alleati del pianeta nella sua lotta al cambiamento climatico e nel raggiungimento degli importanti obiettivi di neutralità climatica ormai dietro l’angolo.

Addirittura, a livello meramente teorico l’energia dei mari e degli oceani del mondo – non soltanto straordinariamente potente, ma anche continua, rinnovabile, pulita e misurabile, o quantomeno prevedibile – potrebbe soddisfare le esigenze energetiche della popolazione di tutto il pianeta.

Va da sé che tra teoria e pratica c’è, per l’appunto, di mezzo il mare: finora qualunque iniziativa portata avanti per sfruttarne le acque come fonte di energia primaria non ha purtroppo portato ai risultati sperati, perché le criticità da risolvere si sono rivelate insormontabili. La salsedine presente nei mari e negli oceani tende infatti a erodere gli impianti; il moto ondoso indebolisce e finisce col danneggiare irreparabilmente le infrastrutture; i costi di manutenzione e mantenimento sono estremamente elevati.

Come risolvere, dunque, considerando che secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia gli oceani potrebbero produrre tre volte il fabbisogno energetico mondiale (nello specifico, ben 80.000 terawattora di elettricità), e l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) conferma a sua volta che il potenziale delle maree è, almeno in teoria, pari a quasi 31.000 terawattora l’anno?

La risposta risiede nei costanti investimenti in nuove tecnologie che possano superare i gap tra teoria e pratica, così da efficientare la produzione di energia pulita da questi enormi e straordinari bacini d’acqua. E, attualmente, sono almeno tre i progetti che potrebbero rivoluzionare un quadro finora insoddisfacente quando messo effettivamente in atto.

Il progetto di SeaPower sullo Stretto di Messina

Cominciamo con un progetto tutto italiano che intende sfruttare il formidabile potenziale energetico del mare di Sicilia.

SeaPower, una società connessa all’Università di Napoli Federico II, si focalizza in particolare sulle maree dello Stretto di Messina, che raggiungono velocità superiori ai 2,5 metri al secondo, con l’obiettivo di sfruttarne la potenza per generare fino a 125 gigawattora di energia all’anno (ossia una quantità sufficiente a soddisfare tutto il fabbisogno energetico della città di Messina).

Il progetto, denominato Gemstar, prevede l’installazione nello stretto di un sistema in grado di convertire l’energia cinetica dell’acqua in energia elettrica. L’impianto funziona come una sorta di aquilone sottomarino composto da due turbine connesse a un galleggiante e ancorate al fondale attraverso un cavo. In presenza di correnti marine, Gemstar, che ha una capacità di 300 kilowattora, dovrebbe riuscire ad allinearsi ai flussi seguendone la direzione e galleggiando a mezz’acqua.

Bisogna chiarire che, al momento, il sistema è ancora in fase di prototipazione e non è quindi industrializzato, e che fa il paio con un’altra tecnologia di generazione elettrica dal moto ondoso progettata da SeaPower: si chiama Pivot, è simile a una boa ed è stata già testata a Civitavecchia offrendo risultati interessanti.

Il progetto MeyGen che sfrutta la potenza delle correnti marine scozzesi

Un altro interessante progetto per la generazione di energia elettrica a partire dal moto ondoso proviene dalla Scozia e, più precisamente, dallo Stretto di Pentland Firth, che separa la nazione dalle Isole Orcadi. La caratteristica che rende questo lembo di mare particolarmente interessante per i ricercatori è la sua potenza: vanta infatti alcune delle più forti correnti di marea di tutto il pianeta.

Nel 2017, l’azienda SAE Renewables ha installato nello stretto un sistema di generazione di energia chiamato MeyGen, e i risultati sono finalmente arrivati: lo scorso febbraio, l’impianto è stato infatti il primo al mondo a produrre 50 gigawattora di elettricità.

MeyGen è un sistema composto da quattro turbine da 1,5 MW del tutto simili a quelle eoliche: collocate a circa venti metri sotto il livello dell’acqua, hanno la capacità di sfruttare i movimenti delle maree che si muovono tra il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico settentrionale.

Il progetto è strutturato per muoversi secondo quattro fasi sequenziali: la prima, quella in cui ci troviamo ora, da 6 MW; la seconda e la terza, in via di sviluppo, rispettivamente da 28 MW e 52MW; la quarta, ancora in stato di pianificazione, da 312 MW.

Parzialmente finanziata dal governo scozzese, MeyGen non è comunque la sola iniziativa del Paese. La Scozia supporta infatti anche O2 di Orbital Marine Power, considerata la turbina mareomotrice più potente e tecnologicamente evoluta finora mai realizzata, al momento ancorata al largo delle Orcadi.

Funziona? Si direbbe di sì, dato che fornisce energia alle isole con un cavo sottomarino che la collega alle sue reti.

Il progetto Iswec al largo dell’Isola di Pantelleria

Chiudiamo questo breve excursus con il progetto Iswec, realizzato dal colosso Eni al largo dell’Isola di Pantelleria: si tratta di un dispositivo per la produzione di elettricità fino a 260 kW e alimentato dal moto ondoso.

Sviluppato in concerto con il Politecnico di Torino e la sua società spin-off Wave For Energy, Iswec mira a sfruttare gli oggettivi vantaggi legati alla generazione di energia proveniente dal moto ondoso: maggiore costanza; sostanziale prevedibilità; disponibilità giorno e notte; maggiore densità; impatto paesaggistico contenuto (la stragrande maggioranza dei progetti di questo tipo prevede infatti installazioni sottomarine con impianti che emergono appena e sono quindi limitatamente visibili a pelo d’acqua).

Tuttavia, Iswec deve considerare anche i ben noti limiti legati al “sistema mare” e, in particolare, la sua incontrollabile potenza e i danni causati dalla salsedine alle infrastrutture. Per quanto riguarda la seconda criticità, le componenti più delicate dell’impianto sono state racchiuse in un robusto scafo in acciaio in modo che non entrino in contatto con l’acqua; per quanto riguarda invece la prima, si conta sull’ottimizzazione del “cervello” del sistema, composto dai supercomputer di Eni Hpc4 e Hpc5 chiamati ad adattarsi alle variazioni ambientali.

A medio-lungo termine, l’obiettivo di un progetto come Iswec è l’alimentazione energetica di piccole isole che, troppo distanti dalla terraferma, non riescono ad allacciarsi alla rete principale.