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L’idrogeno potrà davvero arrivare a sostituire i combustibili fossili? Secondo le ultime indicazioni, la risposta è tanto che, si stima, ben il 64% delle aziende energetiche investirà proprio in questa tecnologia entro il 2030.

È questo il risultato del rapporto “Low-Carbon Hydrogen – A Path to a Greener Future” recentemente pubblicato dal colosso Capgemini, che spiega come le grandi organizzazioni operative nel settore E&U (Energy & Utilities) ritengano che l’idrogeno a basse emissioni di carbonio potrebbe arrivare a soddisfare il 18% del consumo energetico totale entro il 2050, di fatto raggiungendo degli obiettivi di riduzione delle emissioni e di sostenibilità a lungo termine concordati a livello internazionale.

Potrebbe sembrare un traguardo distante nel tempo ma, di fatto, non lo è: per questa ragione ingenti risorse vengono già attualmente allocate dalle imprese lungo tutta la catena del valore dell’idrogeno. È infatti questo il momento giusto per progettare e sviluppare i prototipi di infrastrutture ed elettrolizzatori a celle che serviranno domani!

La corsa all’idrogeno è talmente marcata che anche in Italia si inizia già a parlare di Hydrogen Valleys, con lo stanziamento dei primi finanziamenti da parte dell’UE: la Commissione Europea ha infatti da poco approvato uno schema nazionale per un valore pari a 450 milioni di euro per il sostegno alla produzione e al consumo di idrogeno verde a livello locale grazie allo sfruttamento delle risorse rinnovabili del territorio. I fondi riservati all’operazione dal PNNR sono pari a ben 500 milioni di euro, e l’obiettivo è piuttosto ambizioso: l’attivazione di almeno 10-50 MW di Valli dell’Idrogeno in tutto il Paese.

Di riflesso, Regioni e Province Autonome hanno già pubblicato i rispettivi bandi per la concessione delle agevolazioni e, nel momento in cui scriviamo questo articolo, sono già dieci le Regioni (undici con la provincia di Trento) ad aver reso nota la graduatoria dei progetti meritevoli di finanziamento. Nello specifico, si parla di sovvenzioni a copertura dei costi di investimento per un importo massimo pari a 20 milioni di euro a progetto per promuovere il recupero delle aree inutilizzate e supportare la ripresa delle economie locali.

Investimenti in idrogeno: come aumenta la domanda

La domanda di idrogeno è aumentata in praticamente tutti i settori soprattutto negli ultimi due anni (con un’impennata di oltre il 10%) e ci si aspetta che continui a crescere anche in futuro, specialmente nell’ambito della raffinazione di petrolio, fertilizzanti e prodotti chimici.

Ma non sono queste le uniche industrie a interessarsi a questa fonte di energia pulita: le prospettive sembrano rosee anche per nuove applicazioni nel trasporto pesante, nell’aviazione e nel trasporto marittimo, seppure con tempi di sviluppo più lunghi. Questi sono soltanto alcuni degli interessanti insight riportati da Energia Italia News, che spiega come le stime di investimento mondiale in tecnologie low carbon (incluso l’idrogeno a basse emissioni) superino i 620 miliardi di dollari per il solo 2023, contro i 560 miliardi del 2022.

Le sfide cui rispondere certamente ci sono – in primis quelle legate all’approvvigionamento di energia elettrica a basse emissioni e ai costi elevati degli elettrolizzatori – e l’entità degli investimenti da stanziare per risolverle è notevole. Tuttavia, il mercato si dimostra positivo, tanti che si preannuncia la creazione di partnership e network tra marchi storici dell’idrogeno e nuovi player emergenti per generare un incremento di domanda e offerta e sviluppare un mercato dell’idrogeno aperto e competitivo.

I vantaggi dell’idrogeno come sostituto ai combustibili fossili

Ma quali sono i reali vantaggi dell’idrogeno in sostituzione dei combustibili fossili? Prima di tutto, la virtuale inesauribilità della materia prima, data dal fatto che questo elemento chimico è il più abbondante e leggero tra quelli disponibili in natura.

C’è poi la sostenibilità ambientale: l’idrogeno è infatti un combustibile pulito che può realmente rispondere a esigenze globali di decarbonizzazione ormai diventate improrogabili. Pur producendo energia grazie alla sua combustione con l’ossigeno, non emette infatti sostanze nocive e ha quindi la capacità di ridurre in modo sensibile le emissioni di gas serra e di risolvere i problemi di esaurimento dei combustibili fossili.

Può inoltre essere il risultato di diversi processi produttivi, come l’acqua o la gassificazione di biomassa/rifiuti organici ed è quindi molto versatile; trova applicazione anche nei processi industriali, nella produzione di energia e nei trasporti e si rivela un fenomenale sostituto di combustibili classici come il gas naturale, il gasolio o la benzina.

In più, la trasformazione dell’energia attraverso l’idrogeno è di tipo qualitativo: ciò significa che, se viene utilizzato come combustibile alternativo in un motore termico, questo elemento chimico permette la trasformazione dell’energia chimica in energia cinetica; se impiegato nelle celle a combustibile trasforma l’energia chimica in energia elettrica e così via.

Per tutte queste ragioni, l’idrogeno è anche un “osservato speciale” nell’ambito dell’ormai ben noto piano RePowerEu, finalizzato a ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi e accelerare la transizione verde. In questo nostro articolo sul tema avevamo infatti indicato che, nel pacchetto “Pronti per il 55%”, figurava anche l’obiettivo di produzione di 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile in Europa e di altrettanto idrogeno importato già entro il 2030.

Potrebbe essere il mare il futuro produttore di energia pulita? Secondo almeno tre ambiziosi progetti, : i moti ondosi potrebbero infatti rivelarsi preziosi alleati del pianeta nella sua lotta al cambiamento climatico e nel raggiungimento degli importanti obiettivi di neutralità climatica ormai dietro l’angolo.

Addirittura, a livello meramente teorico l’energia dei mari e degli oceani del mondo – non soltanto straordinariamente potente, ma anche continua, rinnovabile, pulita e misurabile, o quantomeno prevedibile – potrebbe soddisfare le esigenze energetiche della popolazione di tutto il pianeta.

Va da sé che tra teoria e pratica c’è, per l’appunto, di mezzo il mare: finora qualunque iniziativa portata avanti per sfruttarne le acque come fonte di energia primaria non ha purtroppo portato ai risultati sperati, perché le criticità da risolvere si sono rivelate insormontabili. La salsedine presente nei mari e negli oceani tende infatti a erodere gli impianti; il moto ondoso indebolisce e finisce col danneggiare irreparabilmente le infrastrutture; i costi di manutenzione e mantenimento sono estremamente elevati.

Come risolvere, dunque, considerando che secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia gli oceani potrebbero produrre tre volte il fabbisogno energetico mondiale (nello specifico, ben 80.000 terawattora di elettricità), e l’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) conferma a sua volta che il potenziale delle maree è, almeno in teoria, pari a quasi 31.000 terawattora l’anno?

La risposta risiede nei costanti investimenti in nuove tecnologie che possano superare i gap tra teoria e pratica, così da efficientare la produzione di energia pulita da questi enormi e straordinari bacini d’acqua. E, attualmente, sono almeno tre i progetti che potrebbero rivoluzionare un quadro finora insoddisfacente quando messo effettivamente in atto.

Il progetto di SeaPower sullo Stretto di Messina

Cominciamo con un progetto tutto italiano che intende sfruttare il formidabile potenziale energetico del mare di Sicilia.

SeaPower, una società connessa all’Università di Napoli Federico II, si focalizza in particolare sulle maree dello Stretto di Messina, che raggiungono velocità superiori ai 2,5 metri al secondo, con l’obiettivo di sfruttarne la potenza per generare fino a 125 gigawattora di energia all’anno (ossia una quantità sufficiente a soddisfare tutto il fabbisogno energetico della città di Messina).

Il progetto, denominato Gemstar, prevede l’installazione nello stretto di un sistema in grado di convertire l’energia cinetica dell’acqua in energia elettrica. L’impianto funziona come una sorta di aquilone sottomarino composto da due turbine connesse a un galleggiante e ancorate al fondale attraverso un cavo. In presenza di correnti marine, Gemstar, che ha una capacità di 300 kilowattora, dovrebbe riuscire ad allinearsi ai flussi seguendone la direzione e galleggiando a mezz’acqua.

Bisogna chiarire che, al momento, il sistema è ancora in fase di prototipazione e non è quindi industrializzato, e che fa il paio con un’altra tecnologia di generazione elettrica dal moto ondoso progettata da SeaPower: si chiama Pivot, è simile a una boa ed è stata già testata a Civitavecchia offrendo risultati interessanti.

Il progetto MeyGen che sfrutta la potenza delle correnti marine scozzesi

Un altro interessante progetto per la generazione di energia elettrica a partire dal moto ondoso proviene dalla Scozia e, più precisamente, dallo Stretto di Pentland Firth, che separa la nazione dalle Isole Orcadi. La caratteristica che rende questo lembo di mare particolarmente interessante per i ricercatori è la sua potenza: vanta infatti alcune delle più forti correnti di marea di tutto il pianeta.

Nel 2017, l’azienda SAE Renewables ha installato nello stretto un sistema di generazione di energia chiamato MeyGen, e i risultati sono finalmente arrivati: lo scorso febbraio, l’impianto è stato infatti il primo al mondo a produrre 50 gigawattora di elettricità.

MeyGen è un sistema composto da quattro turbine da 1,5 MW del tutto simili a quelle eoliche: collocate a circa venti metri sotto il livello dell’acqua, hanno la capacità di sfruttare i movimenti delle maree che si muovono tra il Mare del Nord e l’Oceano Atlantico settentrionale.

Il progetto è strutturato per muoversi secondo quattro fasi sequenziali: la prima, quella in cui ci troviamo ora, da 6 MW; la seconda e la terza, in via di sviluppo, rispettivamente da 28 MW e 52MW; la quarta, ancora in stato di pianificazione, da 312 MW.

Parzialmente finanziata dal governo scozzese, MeyGen non è comunque la sola iniziativa del Paese. La Scozia supporta infatti anche O2 di Orbital Marine Power, considerata la turbina mareomotrice più potente e tecnologicamente evoluta finora mai realizzata, al momento ancorata al largo delle Orcadi.

Funziona? Si direbbe di sì, dato che fornisce energia alle isole con un cavo sottomarino che la collega alle sue reti.

Il progetto Iswec al largo dell’Isola di Pantelleria

Chiudiamo questo breve excursus con il progetto Iswec, realizzato dal colosso Eni al largo dell’Isola di Pantelleria: si tratta di un dispositivo per la produzione di elettricità fino a 260 kW e alimentato dal moto ondoso.

Sviluppato in concerto con il Politecnico di Torino e la sua società spin-off Wave For Energy, Iswec mira a sfruttare gli oggettivi vantaggi legati alla generazione di energia proveniente dal moto ondoso: maggiore costanza; sostanziale prevedibilità; disponibilità giorno e notte; maggiore densità; impatto paesaggistico contenuto (la stragrande maggioranza dei progetti di questo tipo prevede infatti installazioni sottomarine con impianti che emergono appena e sono quindi limitatamente visibili a pelo d’acqua).

Tuttavia, Iswec deve considerare anche i ben noti limiti legati al “sistema mare” e, in particolare, la sua incontrollabile potenza e i danni causati dalla salsedine alle infrastrutture. Per quanto riguarda la seconda criticità, le componenti più delicate dell’impianto sono state racchiuse in un robusto scafo in acciaio in modo che non entrino in contatto con l’acqua; per quanto riguarda invece la prima, si conta sull’ottimizzazione del “cervello” del sistema, composto dai supercomputer di Eni Hpc4 e Hpc5 chiamati ad adattarsi alle variazioni ambientali.

A medio-lungo termine, l’obiettivo di un progetto come Iswec è l’alimentazione energetica di piccole isole che, troppo distanti dalla terraferma, non riescono ad allacciarsi alla rete principale.